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dole sopra il tavolino. Poi, mentre le due donne lo guar-
davano sorridendo, seguitò a cavare le altre, ad una per
volta; e quelle più grosse non gli potevano escire. Alla fi-
ne, batté e scioccolò le mani insieme; e disse:
Non ce n ho più!
Oh, ma sono anche troppe! Perché avete voluto
portarle?
Ho più piacere che le mangi lei che il padrone della
pianta.
Il giovanotto riaprì l uscio, ne prese quante potevano
entrargli nella mano; e tornò nella sua stanza. Allora, an-
che Giulia ne prese una e l addentò:
Sono proprio mature, in punto!
Avrei fatto intenzione di portarle anche un panie-
retto di pomodori. Li gradirebbe?
Non li voglio, perché dovete portarli a mano voi.
Berto, con una decisione risoluta e gioconda, disse:
Domenica mattina, li porto.
La zia, che non seppe dire di no, rispose:
Ci faremo la conserva.
Giulia arrossì, e non si sapeva spiegare perché Berto
fosse andato a trovarla con quel regalo. Credette che vo-
lesse parlarle a solo; e fece cenno alla zia d andarsene.
Ma, né meno ora egli parlava. Ad un tratto, però, gli orli
dei suoi occhi si arrossarono; e si alzò in piedi:
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
Meno una vita troppo brutta, da un pezzo in qua.
Fece due o tre fiatate grosse, e si asciugò gli occhi.
Ditemi quel che mi volete dire!
Ora, parlando con lei, m è andato via tutto il cattivo!
Allora ella, contenta, chiese, per garbatezza:
Vi è accaduto qualche cosa di grave?
Egli scosse la testa.
E con quel galantuomo?
Egli impallidì, rispondendo con una voce che faceva
capire che ora erano entrati nel discorso che gli piaceva:
Siamo alle solite.
Ella, accortasi di come si rodeva, non volendosi com-
promettere con lui, desiderò che se n andasse. Ma il
contadino, facendosi bianco come un cencio, anche su
la fronte, si mise un dito alle labbra e disse:
Chi camperà, vedrà.
Giulia finse di non capire, e cambiò discorso; raccon-
tando tutti i particolari favorevoli del processo.
Quando Berto tornò a casa, era buio. Già, dentro Sie-
na, avevano acceso i lampioni; e quando giunse a Porta
Romana, si vedeva il Monte Amiata come rizzato lì per
chiudere l orizzonte.
Egli entrò nell osteria della Coroncina, e bevve mezzo
litro, senza mettersi a sedere. Qualcuno lo salutò, ma
aveva la smania di trovarsi alla Casuccia; perché gli ven-
ne in mente che gli avessero fatti chi sa quali torti duran-
te la sua assenza e che gli dovessero capitare questioni
feroci. Di rado, stava tranquillo! Non era più sicuro del-
la propria volontà; e si sentì, un altra volta, sul punto di
piangere come in casa di Giulia.
Ma, ormai, alla Casuccia mancava un mezzo miglio,
piuttosto meno che più.
Su l aia, non incontrò nessuno; e, allora, dette un oc-
chiata alle stelle; come se conoscessero i suoi pensieri.
Poi, mangiò per due: senza riescire a saziarsi.
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
XIX
Il primo lunedì del mese, a Siena, fanno la fiera del
bestiame; fuor di Porta Camollia. Sino dalla sera avanti,
Picciòlo non lasciava più Remigio, dicendogli:
Dia retta a me, almeno una volta. Mi mandi a com-
prare un vitello. Non si spaventi della spesa: basta un vi-
telluccio.
Remigio, alla fine, acconsentì. Il contadino gli prese
tutte e due le mani, e ci mancò poco non gliele baciasse.
Il lunedì mattina, si vestì come per andare a una festa;
insugnò le scarpe nuove si cambiò la camicia. Con sé
portò Moscino. Pareva un altro: la contentezza lo ubria-
cava: e camminava a testa alta; anzi, all indietro, perché
su non gli ci voleva stare. Moscino si mise perfino la
ciarpa, portando in punta a una spalla la giubba; e don-
dolando le braccia.
Quando arrivarono fuori di Porta Camollia, dopo aver
dovuto attraversare tutta la città, la fiera era cominciata
daparecchio tempo. Il prato a sterro, dinanzi alle prime
case del Borgo, era pieno fino in fondo: i bovi e i vitelli
pigliavano tutto il mezzo; i cavalli e gli asini erano legati
alla fila degli alberi, da una parte; i maiali grufolavano
lungo il muro del Tiro a Segno. I contadini e i mercanti
entravano tra i mucchi dei bovi; mentre altri, a capannel-
li, dove c era più posto vuoto, stavano fermi; discutendo
e contrattando per ore e ore di seguito. Per lo più, ai car-
ri erano legate quattro o cinque paia di bovi; oppure un
branco di vitelli, con la testa e la fronte coperte di fron-
zoli rossi. I vitelli si bicciavano e si pestavano, perché
non sapevano moversi o perché, volendo divincolarsi e
sciogliersi, davano a dietro mugliando. Allora, chi li ave-
va in consegna, tirava la funicella e li legava più a corto.
Fin quasi mezzogiorno, i bovi continuarono ad arriva-
re. Pareva che non potessero trovare più posto; ma, in-
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
vece, si aprivano una specie di viottolo che, a un certo
punto, si riempiva e restava chiuso. Ed ecco che, lì ac-
canto, altre bestie seguitavano a passare, affrettandosi.
Altre, vendute, erano portate via, e dovevano fare giri
lunghissimi; e, qualche volta, non potevano andare
avanti trovandosi serrate da ogni parte. Una voce, riso-
luta, diceva:
Pigliate di qua!
Ma un altra gridava:
Dovete tornare a dietro! Di qui non si passa!
La prima voce gridava più forte:
Pigliate di qua: date retta a me!
Altre voci, allora, gridavano, tutte insieme, bestem-
mie e insolenze; e nessuno intendeva più niente. Ma chi
menava le bestie si faceva largo come poteva; finché non
era fuori della fiera; e, a non sentirsi più pigiato, respira-
va a bocca larga.
Cani randagi, per lo più bastardi, spersi dai contadini,
andavano in cerca del padrone, avvicinandosi sempre
con sospetto; pronti a voltare la testa e a scappare, a una
accoglienza cattiva. Quando trovavano un seccarello di
pane, lo mangiavano; dimenando la coda ritta, senza
piegare le gambe di dietro e con il muso giù.
C erano bovi montigiani, di pelame candido e liscio,
con gli occhi turchini e pelosi; le corna piccole; alti e
lunghi. C erano quelli maremmani, di pelame scuro e
anche tutto nero; con le corna grosse e grandi. Parecchi
avevano un campano attaccato al collo; con una fibbia
di cuoio.
Tutta la fiera faceva un ronzìo sempre eguale, che
opprimeva, un ronzìo fitto come la polvere sospesa
nell aria, come fosse immobile. La fila degli alberi era
piena di cicale, che non si stancavano mai. Qualche vol-
ta, uno scoppio di voce, oppure una parola sola, chiara e
distinta, seguita dal silenzio o da uno schiamazzo incom-
prensibile. Ora si sentivano i campani in mezzo al prato,
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Letteratura italiana Einaudi
Federigo Tozzi - Il podere
come rinchiusi dentro il fittume degli uomini e delle be-
stie, con suoni soffocati e strascicati; a un certo punto,
invece, un campano più forte che continuava per un
pezzo, come se facesse chetare tutti gli altri; o parecchi
campani sparsi per la fiera, e ora se ne sentiva uno e ora
un altro, sempre eguali e riconoscibili.
Su la stesa delle groppe si levavano le corna. Le mo-
sche coprivano il collo e le giogaia dei bovi, mettendosi
fitte fitte attorno all orlo degli occhi; attaccandosi, osti-
nate, con le ali lustre e iridescenti. Quando una volava
via, restava una goccia di sangue, come una punta d un
ago, sul pelo.
Per qualche secondo, a una ventata placida, il brusìo
doventava fruscìo più forte e più distinto; mescolato ai
muggiti.
Qualche volta, quando un compratore si portava via
un maiale dal branco, legandolo per una delle zampe di
dietro, le strida si sentivano per tutta la fiera; e in quel
punto si alzava un polverone che accecava.
Tutte quelle corna e quelle groppe, brulicavano. Su i
carri le donne tenevano le funicelle delle bestie avvolto-
late ai polsi, con le fruste in mano, sotto grandi ombrelle
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